Furti nel retail, le tecnologie per evitarli
Protezione alla fonte e sistemi di ‘loss prevention’ e ‘fraud detection’ sono fra le principali soluzioni per far fronte a un grave problema che affligge ipermercati e supermercati
È ancora alto il costo dei vari crimini commessi nel retail e nelle diverse strutture commerciali della grande distribuzione. In supermercati e ipermercati furti di prodotti e atti illeciti fanno aumentare le differenze inventariali, che incidono in maniera pesante sul fatturato delle aziende del retail e costituiscono un fenomeno globale, presente sia in Italia sia all’estero. Nel 2006 in Europa i costi correlati a questi crimini sono stati di 32.867 milioni di euro: a calcolarli è il sesto rapporto del Barometro europeo dei furti nel retail (ottobre 2006), basato sui risultati ottenuti da un campione formato da 466 fra i principali retailer europei di 24 Paesi diversi e con un fatturato complessivo di 422.190 milioni di euro, provenienti da 28.297 punti vendita del retail.
I retailer risultano inoltre esprimere una crescente preoccupazione anche per i furti perpetrati dal personale, che è maggiormente responsabile di sottrazioni indebite specialmente in Regno Unito, Danimarca, Finlandia e Norvegia, ma anche Polonia e Ungheria in Europa Centrale. I più bassi livelli di furti ad opera del personale si riscontrano invece in Grecia, Portogallo e Svizzera. Il rapporto segnala inoltre un incremento delle spese per la sicurezza nel settore retail, che nel 2006 in Europa sono state di 7.983 milioni di euro.
«In Italia – spiega Mariano Tudela, direttore generale di Checkpoint Italia - la percentuale dei furti da parte dei clienti risulta molto alta, intorno al 50,4%. Il profilo del taccheggiatore vede un alta percentuale di giovani tra i 18 e i 25 anni, il 75%, e bande organizzate che sottraggono grossi quantitativi di merce per rivenderli. Per dare un’idea, secondo un nostro semplice dato statistico, un ipermercato mediamente fattura 80 milioni di euro, con differenze inventariali medie, secondo la nostra esperienza, dell’1,4% del fatturato, pari a 1.120.000 euro». Fra l’altro, nei punti vendita della Gdo si ruba una gamma di beni sempre più differenziata. «Anche se con qualche eccezione, gli articoli più rapinati tendono a essere costosi prodotti firmati o di marca destinati all’intrattenimento, alla cura personale o all’abbigliamento, ma anche alcolici e prodotti elettronici che possono essere facilmente nascosti e rivenduti. Negli ultimi anni stiamo assistendo però sempre più a uno ‘sconfinamento’ in settori una volta considerati meno sensibili, come ad esempio sta avvenendo nell’area food, con il Parmigiano Reggiano e le carni, ormai considerate prodotti ad alto rischio di furto e pertanto da proteggere. In termini di danno economico, sottolinea Tudela, l’ ‘invisibile’ costo delle differenze inventariali è molto più alto di quanto dichiarato. «Tutte le soluzioni adottate dai retailer per fronteggiare le differenze inventariali hanno limitato la libertà del cliente, esponendo i prodotti in vetrine chiuse o non alla loro portata. La diminuzione dei prodotti esposti limita il furto ma diminuisce allo stesso tempo le opportunità di acquisto d’impulso. Pertanto il costo è di fatto più alto se si considerano le vendite perse».
Ma allora quali soluzioni adottare? Una delle più efficaci, sempre secondo Checkpoint, è quella della protezione alla fonte, cioè una procedura in grado d’inserire nei prodotti sottili etichette con circuiti EAS (Electronic Article Surveillance) in radiofrequenza (RF) direttamente in fase di produzione o packaging. Le etichette possono essere integrate in imballi di cartone o nei cartellini dei prezzi, tessute all’interno dei capi d’abbigliamento, sotto le etichette delle bottiglie o anche a contatto con gli alimenti, come nel caso delle etichette Food Safe di Checkpoint, adatte anche all’inserimento in prodotti freschi.
«La protezione alla fonte – aggiunge Tudela - è diventata l’unica soluzione possibile per ridurre drasticamente le differenze inventariali. Adottata da Carrefour in tutta Europa, è stata poi subito seguita da altre importanti catene della grande distribuzione come Metro e El Corte Inglés, imponendosi come nuovo standard tecnologico di riferimento, anche in vista della sua facile migrazione verso le future etichette RFID (Radio Frequency identification). In relazione a questa prospettiva futura, Checkpoint diventerà partner all’interno del Performance Test Center EPC di Indicod-Ecr, per il suo know-how tecnologico di applicazione di etichette RF e per aver attivato il progetto di protezione alla fonte in RF, che è il primo passo per arrivare all’applicazione dell’Rfid a livello di singolo prodotto».
La strada verso l’adozione di Rfid su larga scala sembra tuttavia ancora lunga. «Per quanto riguarda i furti esterni – commenta Alessandro Bucich, Retail Enterprise Solutions manager di Wincord Nixdorf - le soluzioni antitaccheggio, come le barriere alle casse in combinazione con le etichette magnetiche o Rfid, o i sistemi di videosorveglianza, rappresentano una scelta obbligata. La tecnologia Rfid ha però attualmente un costo troppo elevato per poter essere applicata indiscriminatamente a ogni categoria merceologica: è dunque un’ottima soluzione per tutelare prodotti tecnologici, di lusso o fashion».
Tuttavia tutte queste soluzioni di sicurezza fisica, dalla protezione alla fonte con i sistemi antitaccheggio dotati di allarmi, ai sistemi di telecamere a circuito chiuso, all’uso di guardie all’interno dei punti vendita, riescono a risolvere solo in parte il problema dei retailer, che rimane grosso. «Anche per quelli che registrano differenze inventariali nella media del settore – sottolinea Denis Nalon, responsabile marketing di Fujitsu Services – il fenomeno rappresenta una perdita nell’ordine di milioni di euro anno dopo anno». Secondo AMR Research, spiega, i retailer hanno indirizzato con queste misure di sicurezza i propri sforzi nel contrastare i furti dei clienti, che costituiscono circa il 30% del fenomeno, in misura quattro volte superiore a quanto fatto per combattere le frodi interne che, invece, ne rappresentano circa il 50%. Un cliente disonesto, aggiunge, può essere di gran lunga meno pericoloso di un dipendente disonesto, con un rapporto anche di 1:10 in termini di valore medio del furto.
Per identificare i comportamenti fraudolenti del personale, ad esempio le operazioni che un impiegato compie nella gestione di un reso, nell’applicazione di uno sconto o nella gestione di una carta di credito, occorrono però soluzioni tecnologiche differenti da quelle utilizzabili per i clienti. Anche perché non tutte le differenze inventariali imputabili ai dipendenti sono frodi, ma possono essere ammanchi generati anche da errori involontari o da procedure di gestione destrutturate che, lasciando aperti troppi spazi di manovra, creano per il personale occasioni di appropriazione indebita. A questo livello è quindi necessario realizzare sistemi e progetti di loss prevention o fraud detection in grado di analizzare i dati raccolti dai terminali POS e di evidenziare comportamenti anomali o sospetti, indirizzando le successive analisi solo su un campione di eventi significativo, per moltiplicare le probabilità di successo dell’indagine da parte degli uffici ispettivi. «In Europa – assicura Nalon - le soluzioni di questo tipo si stanno diffondendo tra i retailer più importanti e innovativi, ma costituiscono un valido strumento per il contenimento del fenomeno delle differenze inventariali anche per le realtà di medio cabotaggio». Da una parte tali sistemi devono eliminare le carenze delle procedure in uso, spesso causate dalla stratificazione di regole interne e da personale non sempre ben addestrato ad applicarle; dall’altra, partendo dai dati dei Pos, devono consentire di creare report basati sui KPI (Key Performance Indicator), definiti con il retailer in base alla situazione esistente, in grado di arrivare a livelli di analisi sempre più approfondita. Con successive operazioni di ‘drill down’ su specifici dati aggregati e poi possibile usare i report per eseguire analisi comparate, ad esempio su un determinato periodo di tempo.
(L'articolo integrale è stato pubblicato sul numero di Business (Gruppo Food) di gennaio-febbraio 2007)
È ancora alto il costo dei vari crimini commessi nel retail e nelle diverse strutture commerciali della grande distribuzione. In supermercati e ipermercati furti di prodotti e atti illeciti fanno aumentare le differenze inventariali, che incidono in maniera pesante sul fatturato delle aziende del retail e costituiscono un fenomeno globale, presente sia in Italia sia all’estero. Nel 2006 in Europa i costi correlati a questi crimini sono stati di 32.867 milioni di euro: a calcolarli è il sesto rapporto del Barometro europeo dei furti nel retail (ottobre 2006), basato sui risultati ottenuti da un campione formato da 466 fra i principali retailer europei di 24 Paesi diversi e con un fatturato complessivo di 422.190 milioni di euro, provenienti da 28.297 punti vendita del retail.
I retailer risultano inoltre esprimere una crescente preoccupazione anche per i furti perpetrati dal personale, che è maggiormente responsabile di sottrazioni indebite specialmente in Regno Unito, Danimarca, Finlandia e Norvegia, ma anche Polonia e Ungheria in Europa Centrale. I più bassi livelli di furti ad opera del personale si riscontrano invece in Grecia, Portogallo e Svizzera. Il rapporto segnala inoltre un incremento delle spese per la sicurezza nel settore retail, che nel 2006 in Europa sono state di 7.983 milioni di euro.
«In Italia – spiega Mariano Tudela, direttore generale di Checkpoint Italia - la percentuale dei furti da parte dei clienti risulta molto alta, intorno al 50,4%. Il profilo del taccheggiatore vede un alta percentuale di giovani tra i 18 e i 25 anni, il 75%, e bande organizzate che sottraggono grossi quantitativi di merce per rivenderli. Per dare un’idea, secondo un nostro semplice dato statistico, un ipermercato mediamente fattura 80 milioni di euro, con differenze inventariali medie, secondo la nostra esperienza, dell’1,4% del fatturato, pari a 1.120.000 euro». Fra l’altro, nei punti vendita della Gdo si ruba una gamma di beni sempre più differenziata. «Anche se con qualche eccezione, gli articoli più rapinati tendono a essere costosi prodotti firmati o di marca destinati all’intrattenimento, alla cura personale o all’abbigliamento, ma anche alcolici e prodotti elettronici che possono essere facilmente nascosti e rivenduti. Negli ultimi anni stiamo assistendo però sempre più a uno ‘sconfinamento’ in settori una volta considerati meno sensibili, come ad esempio sta avvenendo nell’area food, con il Parmigiano Reggiano e le carni, ormai considerate prodotti ad alto rischio di furto e pertanto da proteggere. In termini di danno economico, sottolinea Tudela, l’ ‘invisibile’ costo delle differenze inventariali è molto più alto di quanto dichiarato. «Tutte le soluzioni adottate dai retailer per fronteggiare le differenze inventariali hanno limitato la libertà del cliente, esponendo i prodotti in vetrine chiuse o non alla loro portata. La diminuzione dei prodotti esposti limita il furto ma diminuisce allo stesso tempo le opportunità di acquisto d’impulso. Pertanto il costo è di fatto più alto se si considerano le vendite perse».
Ma allora quali soluzioni adottare? Una delle più efficaci, sempre secondo Checkpoint, è quella della protezione alla fonte, cioè una procedura in grado d’inserire nei prodotti sottili etichette con circuiti EAS (Electronic Article Surveillance) in radiofrequenza (RF) direttamente in fase di produzione o packaging. Le etichette possono essere integrate in imballi di cartone o nei cartellini dei prezzi, tessute all’interno dei capi d’abbigliamento, sotto le etichette delle bottiglie o anche a contatto con gli alimenti, come nel caso delle etichette Food Safe di Checkpoint, adatte anche all’inserimento in prodotti freschi.
«La protezione alla fonte – aggiunge Tudela - è diventata l’unica soluzione possibile per ridurre drasticamente le differenze inventariali. Adottata da Carrefour in tutta Europa, è stata poi subito seguita da altre importanti catene della grande distribuzione come Metro e El Corte Inglés, imponendosi come nuovo standard tecnologico di riferimento, anche in vista della sua facile migrazione verso le future etichette RFID (Radio Frequency identification). In relazione a questa prospettiva futura, Checkpoint diventerà partner all’interno del Performance Test Center EPC di Indicod-Ecr, per il suo know-how tecnologico di applicazione di etichette RF e per aver attivato il progetto di protezione alla fonte in RF, che è il primo passo per arrivare all’applicazione dell’Rfid a livello di singolo prodotto».
La strada verso l’adozione di Rfid su larga scala sembra tuttavia ancora lunga. «Per quanto riguarda i furti esterni – commenta Alessandro Bucich, Retail Enterprise Solutions manager di Wincord Nixdorf - le soluzioni antitaccheggio, come le barriere alle casse in combinazione con le etichette magnetiche o Rfid, o i sistemi di videosorveglianza, rappresentano una scelta obbligata. La tecnologia Rfid ha però attualmente un costo troppo elevato per poter essere applicata indiscriminatamente a ogni categoria merceologica: è dunque un’ottima soluzione per tutelare prodotti tecnologici, di lusso o fashion».
Tuttavia tutte queste soluzioni di sicurezza fisica, dalla protezione alla fonte con i sistemi antitaccheggio dotati di allarmi, ai sistemi di telecamere a circuito chiuso, all’uso di guardie all’interno dei punti vendita, riescono a risolvere solo in parte il problema dei retailer, che rimane grosso. «Anche per quelli che registrano differenze inventariali nella media del settore – sottolinea Denis Nalon, responsabile marketing di Fujitsu Services – il fenomeno rappresenta una perdita nell’ordine di milioni di euro anno dopo anno». Secondo AMR Research, spiega, i retailer hanno indirizzato con queste misure di sicurezza i propri sforzi nel contrastare i furti dei clienti, che costituiscono circa il 30% del fenomeno, in misura quattro volte superiore a quanto fatto per combattere le frodi interne che, invece, ne rappresentano circa il 50%. Un cliente disonesto, aggiunge, può essere di gran lunga meno pericoloso di un dipendente disonesto, con un rapporto anche di 1:10 in termini di valore medio del furto.
Per identificare i comportamenti fraudolenti del personale, ad esempio le operazioni che un impiegato compie nella gestione di un reso, nell’applicazione di uno sconto o nella gestione di una carta di credito, occorrono però soluzioni tecnologiche differenti da quelle utilizzabili per i clienti. Anche perché non tutte le differenze inventariali imputabili ai dipendenti sono frodi, ma possono essere ammanchi generati anche da errori involontari o da procedure di gestione destrutturate che, lasciando aperti troppi spazi di manovra, creano per il personale occasioni di appropriazione indebita. A questo livello è quindi necessario realizzare sistemi e progetti di loss prevention o fraud detection in grado di analizzare i dati raccolti dai terminali POS e di evidenziare comportamenti anomali o sospetti, indirizzando le successive analisi solo su un campione di eventi significativo, per moltiplicare le probabilità di successo dell’indagine da parte degli uffici ispettivi. «In Europa – assicura Nalon - le soluzioni di questo tipo si stanno diffondendo tra i retailer più importanti e innovativi, ma costituiscono un valido strumento per il contenimento del fenomeno delle differenze inventariali anche per le realtà di medio cabotaggio». Da una parte tali sistemi devono eliminare le carenze delle procedure in uso, spesso causate dalla stratificazione di regole interne e da personale non sempre ben addestrato ad applicarle; dall’altra, partendo dai dati dei Pos, devono consentire di creare report basati sui KPI (Key Performance Indicator), definiti con il retailer in base alla situazione esistente, in grado di arrivare a livelli di analisi sempre più approfondita. Con successive operazioni di ‘drill down’ su specifici dati aggregati e poi possibile usare i report per eseguire analisi comparate, ad esempio su un determinato periodo di tempo.
(L'articolo integrale è stato pubblicato sul numero di Business (Gruppo Food) di gennaio-febbraio 2007)
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