La piattaforma software di cloud computing sta arricchendosi di progetti per estendere la base di utenza in una sempre più ampia gamma di casi d’uso. L’Implementazione di OpenStack non è però un processo banale, e richiede conoscenze approfondite su numerosi fronti tecnologici. In questo articolo, qualche aggiornamento sullo stato del progetto, e alcune indicazioni sulle possibili modalità di utilizzo
Leggi la guida completa su ZeroUno
In occasione dell’ultimo Open Infrastructure Summit, l’ottobre scorso a Austin, Texas, la OpenStack Foundation ha compiuto un nuovo passo evolutivo, trasformandosi nella Open Infrastructure Foundation (OIF). Il cambio di nome “riconosce un’espansione della missione, dell’ambito operativo e della comunità dell’organizzazione, per far progredire l’open source nel prossimo decennio, e supportare la open infrastructure in un mercato che è stimato in 20 miliardi di dollari”. Una svolta prevista, attesa da vari osservatori, ed evidentemente motivata dalla volontà di allargare lo spazio di mercato: nel 2015, nell’articolo intitolato “Is OpenStack a success?”, Alan Waite, research director in Gartner, scriveva: “non c’è dubbio che OpenStack è divenuto il più conosciuto e ampiamente supportato framework open source per costruire infrastrutture IaaS private, quindi in quell’area è un successo”. D’altra parte, aggiunge Waite, “se si considera ‘successo’ un’adozione massiva in molti settori e in una maggioranza di domini virtualizzati, OpenStack non ha avuto successo”. Dai dati di cui era allora in possesso, Waite parlava di un numero di implemetazioni OpenStack in produzione a livello mondiale nel 2014 dell’ordine delle centinaia, e di casi d’uso limitati in cui un cloud OpenStack sarebbe risultato effettivamente la soluzione giusta.
