Con ChatGPT assisteremo alla fine del ruolo di programmatore?
Il futuro dello sviluppo software sembra giocarsi tutto sulle prossime abilità dell’intelligenza artificiale, di cui nessuno può davvero ancora immaginare i futuri contorni. Le prospettive sull’evoluzione della professione dello sviluppatore apre però forse maggiori opportunità , rispetto ai possibili rischi
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Una AI abile nella programmazione rappresenta un salto quantico nell’ingegneria del software. E, a giudicare dal crescendo d’intensità che la competizione tecnologica sta ultimamente registrando, l’impressione è che ora la AI stia davvero avvicinandosi a un fatidico “tipping point”. Un punto di svolta cruciale, che starebbe spingendo DeepMind (la sussidiaria di Alphabet, holding di Google), anch’essa impegnata nel campo della artificial general intelligence (AGI), a introdurre sul mercato un proprio chatbot. Lo ha detto in un’intervista al Time l’amministratore delegato di DeepMind, Demis Hassabis.
Una versione “private beta” del chatbot, chiamato Sparrow, potrebbe arrivare in un momento imprecisato del 2023. Il tempo necessario, insomma, per consentire a DeepMind di lavorare su alcune funzionalità basate sull’apprendimento per rinforzo (reinforcement learning), di cui ChatGPT sarebbe privo, come ad esempio la capacità di citare le proprie fonti.
In effetti, la gara in corso sulla AI non sarà disputabile unicamente sul piano della pura abilità di una R&D di far evolvere velocemente questa tecnologia in maniera indiscriminata, senza seguire le dovute linee guida. Sul piatto della bilancia ci sono infatti anche aspetti etici, da tenere in considerazione per giudicare chi fornisce tecnologia AI, sulla base della capacità di depurare gli algoritmi da bias cognitivi e, soprattutto, di evitare che possano essere utilizzati per scopi moralmente inaccettabili.
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